Cronache della Parrocchia di Luzzogno tra il XV e il XX secolo

L’opera pia dei poveri

In questa uscita della rubrica scriviamo di un particolare aneddoto della nostra parrocchia che fa riflettere su quanto la comunità del tempo era sviluppata e articolata per poter gestire in autonomia questo tipo di evenienze.

Nella seconda metà del 700 alcuni benefattori di Luzzogno lasciarono in beneficenza sotto diverse forme le loro sostanze. Uno di questi fu il Gio.Batta Boretto detto “Bontempo” di cui abbiamo già parlato, che lasciò una somma ingente, il cui reddito venne destinato in parte all’istruzione scolastica dei giovani del paese, in parte per la distribuzione di mezzo kg di sale al mese per ogni famiglia, e con l’obbligo però, di nominare un cappellano e di celebrare alcune messe durante l’anno.  Altri lasciarono somme di denaro da destinarsi ai poveri del paese, altri ancora per la condotta medica.  Ma un personaggio che si distinse per carità e beneficenza nel 700, ai tempi di Don Carlo Antonio Maffioli (che fu lui stesso benefattore e lasciò metà delle sue sostanze ai poveri di Luzzogno) fu il Notaio Carlo Antonio Morello, fu Gio.Battista. Il Notaio Morello muore a Luzzogno il 6 gennaio 1712 all’età di 85 anni. Nel suo testamento non vi sono legati di messe o del sale, e non avendo figli lascia tutti i suoi beni ai parenti secondo una linea ereditaria che escludeva le femmine. Una parte dei Morello però da tempo si era stabilita a Mazzè (un borgo contadino della pianura piemontese) e a Luzzogno rimanevano solo il fratello Antonio e una nipote. Le disposizioni testamentarie nominavano primo erede universale suo cugino Giuseppe abitante in Mazzè,  in caso di rifiuto  nominava l’altro cugino Giovanni anch’esso abitante a Mazzè, oppure Antonio suo fratello, infine se anche questo ricusasse,  l’altro cugino ancora il Gio.Battista, e così via,  secondo la linea di successione che toccava i maschi primogeniti dei parenti del Notaio, con l’obbligo però agli eredi,  di risiedere nella casa di Luzzogno “ed ivi mantenere il foco” in caso di rifiuto o di inadempienza degli obblighi,  l’eredità verrà destinata esclusivamente ai poveri di Luzzogno e sarà gestita dalla Compagnia di S.Marta. Non sappiamo esattamente come andarono le cose, se gli eredi rinunciarono all’eredità per non trasferirsi a Luzzogno,  oppure  se  la  primogenitura  si estinse,  ma  dal “ Libro delle cavate e delle spese dell’eredità del Sig. Notaio e Causidico Carlo Antonio Morello” compilato dai consiglieri della Compagnia di S.Marta sappiamo con certezza che a partire dal 1734 tutti i beni e ragioni, come da disposizioni lasciate passarono alla Compagnia di S. Marta,  che si assunse l’incarico di vendere, come da testamento “in momenti  opportuni ” li beni stabili,  eccettuate però le case di abitazione che saranno destinate ad uso dei poveri.  Naturalmente la Compagnia doveva dare il resoconto annuo delle “cavate e delle spese”.  Le precise disposizioni dettate nel testamento dal notaio stesso (uomo pratico di queste cose) il giorno prima della sua morte,  destinavano l’annuo interesse ricavato dai capitali ai poveri della cura di Luzzogno a partire dagli infermi e ammalati, e particolarmente da quelli che in qualche maniera sono parenti del testatore, con la clausola di nominare di volta in volta due confratelli che tengano la contabilità ed il registro delle elemosine, che saranno distribuite secondo rigorosi criteri stabiliti dai Consiglieri della Compagnia e dal Parroco del tempo.  Nella lista dei beni sono descritte le case del Morello, consistenti in “Una casa da fuoco nel cantone del Cantonetto, con una corte grande ed alcune stanze, et una stanza al piano superiore nella quale vi è un quadro largo et alto circa un brazzo, in cui è raffigurato il Notaio Carlo Antonio Morello, insieme con il fratello Rev. Padre Nicola Morello (1) religioso Agostiniano.  Dall’altra parte della corte vi è un altro corpo di casa.  Attigua a questa casa, vi è un’altra casa che si chiama la Chiesa, et anticamente era dimandata la Chiesa di Frà Marco; la quale per ordine del Vescovo Carlo Bescapè fu esecrata et assegnata alla Chiesa Parrocchiale di S. Giacomo, con certi pochi redditi che aveva, come consta dai decreti di visita”.  Non sappiamo il valore complessivo dell’eredità lasciata, ma da quanto risulta dal registro delle elemosine tenuto dai confratelli della Compagnia di S.Marta, vi erano numerosi appezzamenti di terreno, cascine, campi,  prati e boschi,  che furono venduti e il capitale ricavato rendeva circa 100 lire all’anno che in parte venivano distribuiti ai poveri. Il patrimonio fu amministrato molto saggiamente, perché come testimonia il libro, la distribuzione delle elemosine continuò ininterrottamente dal 1734 sino alla prima metà dell’800, con aiuto in denaro distribuito annualmente, più le numerose manutenzioni e riparazioni nelle case d’abitazione dei poveri e le uscite straordinarie.  Nelle fitte pagine di questo libro vi sono tantissime voci di spese extra dove si legge ad esempio;  dato alla povera S. Antonia £1,10 per comperare una pezza di tela per vestire il proprio figlio – dato £ 5 al B. Giacomo per comperare un paio di scarpe per suo figlio, pagata la visita medica del Dott. Francia alla B. Margerita, fatto fare per ordine del Curato un vestito per un figliolo ed una berretta per un altro bambino, pagato alla sarta il tessuto  per fare i vestiti per i bambini poveri ecc. ecc.  e via di seguito per moltissime pagine. Certo queste elemosine non risolsero i gravi problemi di quella povera gente; ma pensiamo ad esempio all’aiuto dato a quei bimbi che oltre alla fame dovevano sopportare anche il freddo, o agli infermi, o alle povere vedove con figli piccoli senza alcun sostentamento, questi pur piccoli aiuti sono certamente serviti a superare i momenti più difficili.   Nel 700 i poveri si aggirano sulle 40 unità, nella prima metà dell’800 si sono dimezzati, e forse questi erano i primi segnali di una debole ripresa economica.  Particolare curioso che spicca nella lista, è l’ampia distribuzione di curiosi soprannomi e nomignoli, di cui se ne riportano alcuni esempi: la S.  Teresa e detta la “Marandola” – la A. Antonia e detta la “Pianarola di Inuggio” – la B. Antonia e detta “la Marchetta” – il B. Giovanni “il Put” – il N. Carlo e detto “il Panela” – la R. Maria “la Paliva” – il B. Giacomo è detto “il Nicolino” – la B.  Maria è detta “la Prevosta” – la D. Maddalena e detta “la Gabbia” e via di questo passo. Evidentemente in quei tempi miserabili mancava tutto fuorché uno spiccato senso dell’ironia.

(1) Secondo Il De Giuli nel suo libro – La Valstrona e Luzzogno – Padre Morello si chiamava Michele Angelo, ma è probabile che questo fosse il nome “da religioso” perché nel testamento il suo nome è padre Nicola Morello.

Cronache della Parrocchia di Luzzogno tra il XV e il XX secolo

Nota degli uomini e dei fuochi del 1689

La “lista degli Uomini e dei Fuochi” del 1689 descrive in modo approssimativo la popolazione di Luzzogno con i suoi cantoni di Strona e Inuggio e non ci informa sui mestieri e sui luoghi di lavoro, d’altronde è solo un censimento degli uomini presenti in patria, e degli abili, o non abili alle armi.   Ma ci fornisce alcune preziose informazioni relative alla situazione demografica, anagrafica e onomastica della comunità di Luzzogno alla fine del 1600.  A cominciare da alcuni cognomi oggi scomparsi, che sembrano estranei alla onomastica locale ma che invece appartengono alla protostoria di Luzzogno ed erano già presenti nelle carte antiche e negli atti costitutivi della comunità.  Esaminando la lista, vediamo che le vedove portano il doppio cognome, e cioè l’associazione del cognome da nubile, a quello del marito – vedi Maria Bruna- Rinaldo, Maria Ronchino-Negro,Negra-Boretta, Piana-Negra, Mercanta-Boretta, Murella-Mercanta, Murella-Battaglina, ecc.  In altri casi, ai cognomi venivano associati dei soprannomi come elemento distintivo di una diversa origine di provenienza o di un ceppo diverso, vedi per es. i Mercanti – Scrinzi, o gli Alessi – Anghini, i Rinaldi – Rumeletti, ecc.   Anche nel caso di alcune famiglie veniva usato il doppio cognome, come Boretti – Mercanti, Boretti – Mosetti, Boretti – Todesco, Stornone – Bruna, ma non saprei dire quale sia il motivo esatto, anche se si potrebbe sospettare che alcuni cognomi siano stati coniugati tra loro per qualche legame di parentela.  Questo documento però evidenzia il dramma di un paese che per alcuni mesi dell’anno era semi deserto, e “quasi tutti gli uomini sono assenti, e molti dei presenti, presto partiranno” Questa triste realtà colpisce non solo il paese, ma tutta la valle, con una disgregazione sociale gravissima con mariti, padri, e figli, disseminati in mezza europa. 

La desolante situazione di emigrazione persisterà ancora per molto, e come vedremo anche nel documento di Consegna del Personale e delle Arti redatto nel 1776, e cioè 90 anni dopo, il fenomeno è ancora maledettamente attuale.  Le cause che hanno costretto gli uomini a lasciare la loro terra “per poter acquistarsi da mantenere le loro famiglie” sono efficacemente riassunte nella supplica che i Luzzognesi nel 1794 fanno al Re, chiedendo di essere esonerati dal contributo delle spese di guerra.

Collegamento alla lista completa del 1689

Supplica a sua maestà del 1794

Nel 1794 con Regio Editto viene chiesto alle comunità della Valle il pagamento di un contributo per spese di guerra.  La comunità di Luzzogno, radunato nella solita sala delle congrege il consiglio comunale il sindaco Giuseppe Stornone, delibera di inoltrare il seguente atto di supplica sua Maestà. Visto il ricorso di non pochi particolari, li quali ebbero ricorso a questa comunità di essere provveduti nelle presenti loro indigenze e calamità.  Al chè inteso dai sig. congregati, sendo molte le istanze che da particolari di questa comunità vengono fatte, di dovere la presente amministrazione fare ancora ricorso a sua Maestà, e narargli la miseria in cui si trovano li medesimi di inabilità loro al pagamento d’un tale sussidio, per ottenere l’opportuna esenzione d’un tale peso;  perciò inseguendo le istanze promosse che le vengono fatte;  stimano di lor dovere, la presente di porre sott’occhio della benigna clemenza di sua Maestà, che la presente comunità essendo che la situazione in una Valle orrida, che ha il suolo talmente infruttifero, che produce tra castagne e segale da vivere non più di tre mesi circa; che a causa dell’attuale guerra e carestia, rimanendo incagliati li loro lavori, ne potendo dalla rispettiva arte ritrarre danaro, onde sovvenire all’indigenza loro, e della famiglia, e d’altronde anche li migliori registranti, non ritrovano voglia di sovenirgli danaro, anche colla vendita de loro beni, per accomprasi il vitto necessario, sono forzati a vivere di semplici erbe, con crusca di segale o di fromento; ed insomma che sono ridotti ad una miseria tale che li stessi più facoltosi non avendo mezzo di più oltre sovvenire alli indigenti, non sonno a meno che di lasciarli perire dalla fame e dall’inedia.

La miseria e povertà di questa Valle, sino alle annate più obbertate, in seguito alla ricognizione fattane dal Regio Delegato, il Conte Dautheville ha commosso talmente la pietà della Regia Maestà vostra, che si è degnata diminuirle l’ordinario tributo. Con tutta fiducia pertanto implorano e sperano non solo nell’esenzione del sussidio dal surriferito Regio Editto portato, ma hanno tutto il fondamento a credere che la Reale Maestà sarà per gettare uno sguardo pietoso sopra questa misera valle, e continuarle li tratti di clemenza e beneficenza.

Un’altra testimonianza sulle miserabili condizioni di vita di quei tempi ci viene da un viaggiatore che scrisse queste drammatiche parole (2) “Ho visto il pane che è costretta a mangiare la povera gente di val Strona e della val Sesia: quel pane!  era un composto di crusca di melliga, di ghiande di quercia e di radici!!!  Molte donne si sono trovate morte coll’erba in bocca!!!   Questi due scritti la dicono lunga sule condizioni estreme di sopravvivenza. 

Tornando al fenomeno dell’emigrazione, dai documenti sappiamo che nonostante le difficoltà alcuni immigrati con enormi sacrifici, ed un po’ di fortuna, riuscirono ad aprire bottega o laboratorio inserendosi nei commerci e facendo anche una discreta fortuna.  Uno di questi fù il Giovanni Battista Boretto detto “Bontempo” coniugato con Perina Maria Caterina – morto a Torino nel 1750.  benefattore e  fondatore dell’Opera Pia omonima,  il Boretto nella prima metà del 700 esercitava la professione di  tornitore a Torino,  dove aveva casa e bottega, e dove produceva  e commercializzava raffinati articoli in legno come;  tabacchiere in legni pregiati e in latta,  pipe di ogni tipo e di legnami pregiati,  cannette per pipe,  bocchini,  calamai di noce,  di radica,  d’avorio, e di legni esotici d’India    come risulta dalla lista – inventario dei beni contenuti nel laboratorio (3) Il Boretto con il suo testamento lasciò la considerevole cifra di £ 8000 di Milano a favore dei poveri di Luzzogno,  ed un Legato del Sale. 

Le categorie dei nostri emigranti sostanzialmente erano due; una era quella dei peltrai o stagninari che emigravano all’estero, l’altra era quella dei tornitori e calzolari, e dei concari o palai, che esercitavano il loro mestiere esclusivamente nelle pianure piemontesi o lombarde. Quest’ultima categoria dei calzolari, tornitori, concari o palai va ulteriormente suddivisa, perché è vero che praticavano mestieri completamente diversi, ma anche con modalità operative diverse.  Da una parte abbiamo i tornitori e calzolari con  un’occupazione stabile e continuativa nei laboratori o nelle botteghe di citta come Vercelli, Vigevano, Torino, Ivrea,  questo consentì ad alcuni di loro di aprire bottega o laboratorio e di mettersi in proprio;   dall’altra vi erano gli “stagionali”, cioè  i palai o concari  che scendevano nelle pianure solo per qualche mese all’anno, (autunno – primavera) per poi tornare in estate ai loro paesi, e questa loro condizione di nomadi e di pendolari non gli permetteva di aprire botteghe o laboratori. Mentre i primi usarono i loro guadagni per aprire botteghe o laboratori, i secondi, li investirono acquistando appezzamenti agricoli, che successivamente affidavano all’agricoltore locale,  da cui ad ogni fine stagione riscuotevano l’annuo fitto consistente in prodotti della terra, come granaglie, meliga,  frumento, cereali,  ed altri prodotti,  da portare alle loro famiglie,  e questo spiega perché  alcuni valstronesi sono proprietari di  appezzamenti di terreno giù alla “bassa” a Ricetto, Landiona, ecc.

Il Giovanni Battista Boretto “Bontempo” non era il solo ad essersi sistemato a Torino con la sua famiglia, in questa città risiedevano altri Luzzognesi con le rispettive famiglie, dove esercitavano la professione di tornitore.  D’altronde il negozio stesso ed il laboratorio del Boretto furono rilevati (rogito Notaio Romerio) da un altro Luzzognese il Gio.Andrea Stornone zio del testatore che con i suoi due figli intendeva in questo modo continuare l’attività del Boretto, e gli stessi testimoni dell’atto di vendita erano anch’essi di Luzzogno. L’esistenza di questa numerosa colonia di Luzzognesi è testimoniata anche dalla lastra posta sopra la porta principale all’interno della Chiesa Parrocchiale S.Giacomo di Luzzogno, che ricorda i benefattori della bussola di Torino (che comprendeva anche quelli di Ivrea)  che vollero istituire le sacre 40 ore.   Altri immigrati avevano trovarono dimore e lavoro stabile in altre città o borghi piemontesi,  come i Morello a Mazzè, i Demercanti a Vercelli dove avevano due negozi da calzolari, ad Alessandria i Boretti Mosetti erano negozianti, a Torino abbiamo qualche calzolaro ma parecchi tornitori delle famiglie Alessi, Boretti, Piana e Stornone, nel Lodigiano abbiamo alcuni De Giuli,  ma anche a Vigevano si era costituita una colonia di calzolari che nel 1763 decise di chiamare in causa il comune di Luzzogno per alcune tasse che ritenevano ingiuste.

1763 Lite tra il comune di Luzzogno ed alcuni particolari residenti a Vigevano

Alcuni di questi particolari residenti a Vigevano con la propria famiglia, ritenevano ingiusto pagare le taglie focolari e personali alla comunità di Luzzogno perché appunto residenti in altro luogo.  Pensarono allora di fare nel 1763 un esposto all’Ufficio d’Intendenza e nominarono Pietro Antonio Battaglino, Giuseppe Antonio Albertino e Bartolomeo Righettino come procuratori nella controversia con il comune.  Vi furono per questa causa alcuni contradditori nei quali vennero sentite le due parti nelle persone dei sindaci della comunità Gio.Battista Beltrami e Rinaldi Pietro, contro i rappresentanti dei particolari di Vigevano sopra nominati, e dal memoriale di un contradditorio di ben 60 pagine (4) tenutosi avanti all’Avvocato Vice Intendente per l’Alto Novarese. In questo memoriale vengono citate alcune convenzioni contenute in antichi documenti del 1454 – 1617 e 1643, che riguardavano la costituzione del salario del Parroco e delle tasse focolari e personali, dai quali documenti veniamo a sapere per es. che un quarto delle decime feudali sui fondi coltivi di tutta la Valle Strona spettanti ai Sig.Nobili di Crusinallo, furono da essi rimessi in favore della costituenda nuova Parrocchia S.Giacomo di Luzzogno. In pratica il quarto delle decime rimesse dal feudatario a favore del salario del Parroco doveva essere corrisposto a tale scopo dai possessori di fondi coltivi. Anche il Senato di Milano nel 1643 concesse di convertire gli utili loro spettanti derivanti dall’utilizzo dei molini comunitari in favore del salario del Parroco. Dall’inventario Parrocchiale del 1617 risulta inoltre che il salario del 1454 che era di £ 60, nell’arco degli anni era asceso a £ 400 da suddividere tra i focolanti.  I motivi per cui detti particolari non volevano pagare le cosiddette taglie focolari e personali erano che: Primo, l’impegno preso dagli antenati nel documento del 1454 riguardante il contributo focolare per il salario del Parroco non poteva estendersi a loro.  Secondo motivo era che non essendo residenti non usufruivano di nessun bene comunale come l’utilizzazione dei boschi, dei pascoli comunitari e neppure del legato del sale, che i residenti invece godevano, e quindi ritenevano ingiuste queste imposte.  Quello che preoccupava i sindaci era che se questa protesta fiscale sarebbe passata si sarebbe estesa a tutti coloro che risiedevano con la loro famiglia fuori patria e questo sarebbe stato il tracollo delle già misere finanze.  Considerato che con queste entrate bisognava provvedere alle riparazioni e manutenzioni di strade, ponti, molini comunitari, e (cito testualmente) “specialmente per riparare dalla solita minaccia che in tempi stravaganti di pioggie nel sito detto il Ro, sono causa di ruina delle case di detta terra di Luzzogno, e di conseguenza anche quelle di detti assenti” ed in più le entrate, servivano anche per i bisogni temporali e spirituali.  Se ciò venisse accettato dalla autorità superiori ne succederebbe che li poveri residenti come i vecchi, i bambini, le povere donne che sono “residenti forzati” proprio perché non sono in grado di portarsi fuori patria si troverebbero a pagare il doppio, e cioè anche la parte dei non residenti. 

Le emigrazioni crearono nei soggetti sentimenti contrastanti di odio o di amore verso la terra natia.  Alcuni si affezionarono alla nuova terra che li ospitava che era bensì “matrigna” ma comunque dava loro un tozzo di pane. Nel frattempo però svilupparono una forma di risentimento verso quella terra che li aveva “sedotti e abbandonati” ma li costrinse a cercar da vivere altrove obbligandoli però a pagare le tasse locali.  La rabbia li spinse alla protesta e questo successe non solo a Luzzogno ma anche in altri comuni della valle.

Altri soggetti invece vollero dimostrare in qualche modo di essere riusciti con il loro lavoro e con la loro capacità ad affermarsi nelle città e nella società, con le munifiche donazioni e beneficenze intesero guadagnarsi la stima dei concittadini e magari un posto in paradiso. 

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Cronache della Parrocchia di Luzzogno tra il XV e il XX secolo

Il Censimento del 1722

In quel periodo storico a causa della guerra di successione spagnola le terre del Cusio e della Valstrona facenti parte del Ducato di Milano passarono dalla dominazione spagnola (iniziata nella seconda metà del 1500) alla dominazione austriaca che si protrarrà fino all’arrivo di Napoleone nel 1797. Furono gli ideali illuminati degli Asburgo d’Austria che portarono a diverse riforme amministrative quali la risistemazione del catasto (mappa teresiana), la soppressione della censura ecclesiastica e tra gli altri il censimento del 1722.

Nel 1713 l’Imperatore Carlo VI d’Austria venne così in possesso del Ducato di Milano il quale comprendeva l’Alto Novarese e la Valle Strona, terre che da tempi immemorabili avevano l’esenzione di dazi, gabelle, imposte, ed altri privilegi contenuti in alcuni capitoli di un diploma di concessioni rilasciato ai tempi di Gian Galeazzo Visconti (1400).

Nel 1719 la Cesarea Real Gionta (ente del Ducato) ordinò un nuovo censimento dei fondi di queste terre, su cui imporre il pagamento delle tasse; questo suscitò il malcontento e le proteste dei proprietari terrieri che chiesero di impugnare il diploma che provava le esenzioni, ma purtroppo questo era introvabile. Fecero accorato appello all’Imperatore affinché sospendesse l’attivazione del decreto in attesa di ritrovare i documenti e ricorsero persino al Papa, che ordinò le censure ecclesiastiche per coloro che detenevano il diploma, contro chi sapeva e non parlava. Nel gennaio del 1729 per tre domeniche successive durante la messa grande, il parroco di Luzzogno Don Carlo Antonio Maffioli obbedendo ad un preciso e suggestivo cerimoniale, con una candela in mano e ad alta ed intellegibile voce, pronunciava le censure papali contro coloro che occultavano i diplomi delle esenzioni, e contro chi, sapendo non ne dava notizia. Pronunciate le censure, gettava a terra la candela calpestandola, dopodiché faceva dare alla campana il segno da morto, così colui che deteneva i diplomi fosse per la Chiesa considerato morto, ordinando poi al sagrestano di dare sepoltura alla candela in un luogo remoto e nascosto. Ma nonostante la terribile minaccia di scomunica, i documenti non furono mai trovati. Il più preoccupato della vicenda del nuovo catasto fu Carlo VI, il quale viste le resistenze e le reazioni di quelle terre, per evitare il pericolo di eventuali ribellioni, con decreto del 22 agosto 1731 sospese l’applicazione delle nuove imposte.

Il censimento era destinato ai fondi agro silvo pastorali, alle stalle, orti, prati, pascoli, coltivazioni sostenute da muri (terrazzamenti) e coltivazioni di vite, selve prative, selve pascolive e boschi da taglio. Naturalmente i padroni dei fondi, erano anche proprietari delle baite in essi contenute.

Il rilievo del territorio di Luzzogno, che contava allora 450 anime, venne fatto tra il 19 agosto ed il 28 settembre del 1722 dal geom. Ferdinando d’Horembeqe con l’assistenza di Gioachino la Croix, Giacomo e Antonio Rinaldi, Guglielmo Stornone e Giovanni Battista Boretti.  Il territorio di Luzzogno comprendeva Strona e Inuggio, ed era composto da 19 fogli mappali disposti in ordine discendente, partendo dalla cima dei monti con il N°1, per finire nel fondovalle col N° 19, fu fatto l’elenco dei proprietari dei fondi, i numeri di mappa, la classificazione dei terreni, e la compilazione del “sommarione” del 1722.

L’ Archivio di Stato di Torino (Sezione Mappe) ci permette di risalire ai proprietari dei fondi e delle baite, cioè a coloro che in estate praticavano l’alpicoltura, mentre in autunno si recavano nelle pianure, dove praticavano il mestiere di concari o palai.

  • l’Alpe Fienosecco (fondo N° 1 – fogli mappali 3 e 6) – I proprietari sono: Antonio Piana – Giovanni Albertino – Antonio Albertino – Giovanni Piana – Pietro Giuseppe e f.lli Perini – Pietro Perini – eredi di Giacomo Righettino – eredi di Bartolomeo Righettino – Martino e f.lli Righettini – Gio Pietro Piana – Gio Batta Albertino – Giulio Albertino – Gio Batta Perini – Emigliano Perini – la Comunità di Luzzogno.
  •  l’Alpe Toriggia (fondi N°  2-3-4 – fogli mapp. 4 e 7) – fondo N°2 Giovanni Mercante Scrinzo – fondo N°3 – Domenico Alessio Anghino – fondo N°4 Marco Battaglino.
  • Il fondo N°5 –  pascoli in monte e selve prative – sono i pascoli magri situati nei canaloni al di sotto l’alpe di Campalero, e sono di proprietà di Carlo Martino Battaglino- Marco Battaglino- Gio Mercante Scrinzo- Antonio e f.lli Stornoni- Antonio Boretto- Giuseppe Perino- Gio. Alessio Anghino- Domenico Alessio- Antonio Alessio- Antonio Morello- Giovanni Beltrame.
  • l’Alpe Campallero (fondo N°6 – foglio mapp. 8) – Guglielmo e f.lli Stornoni – Antonio e f.lli Stornoni – Guglielmo Boretti – eredi di Carlo Boretti – Martino Boretti fù Antonio – Antonio Boretti fù Carlo – Antonio e cugini Gianoli.
  • l’Alpe Colle  – di sopra – ( fondo N°7 – foglio mapp. 10) – Antonio e f.lli Stornoni –  Carlo Stornone – Giacomo Stornone – eredi di Giuseppe Piana – Antonio Boretto Bontempo –  Giacomina Boretto Bontempo.
  • L’Alpe Colle – di sotto  – ( fondo N° 8 – foglio 10) Giacomo Antonio Rinaldi.
  • L’Alpe Curblòn – (fondo N° 9 – foglio 10) Giacomo Antonio Mercante.
  • L’Alpe Cerei di là – verso Inuggio ( fondi N°29 e 30 – foglio 12 )- Guglielmo Mosetto Boretto – Giacomo Soldato – Giuseppe Guglielmo Savoia – Maria e Cattarina sorelle Savoia – Guglielmo Boretto fù Giacomo – Martino Boretto fù Antonio – Giuseppe Boretto – Giacomo Rinaldi – Francesco Antonio e f.lli Rinaldi – Carlo Antonio Boretto fù Battista. –  ( fondo N° 31- foglio 12 ) – Carlo Martino Battaglino – Marco Battaglino – Giovanni Mercante Scrinzo – Antonio e f.lli Stornoni – Carlo Stornone – Giacomo Stornone Antonio Borettto fù Carlo.
  • Alpe Cerei di quà – verso Luzzogno ( fondo N°88 – foglio 16 )- Giovanni Negri -(Del Negro )
  • Alpe Cùrgeel – ( fondo N°32 – foglio 13) – Giacomo Antonio Mercante Scrinzio.
Il foglio 12 – delle mappe Teresiane del comune di Luzzogno ci rappresenta Inuggio con i suoi alpi maggengali del Piane e dello Scarpione con i terrazzamenti prativi. Alla lettera  C  (contrassegnato da una croce) abbiamo l’Oratorio di S. Antonio.   In alto a sinistra, si vede la località chiamata “Scarpione e Piane” che sovrasta i terrazzamenti prativi.  I quadratini in basso a destra invece sono le baite del Cerei, (per intenderci quelle verso Inuggio) poste sulla via che dal Cerei conduce alle baite del Piane e dello Scarpione.  Ma come possiamo notare le baite di Cascine d’Alessi ancora non esistono e la loro costruzione risale ad epoche successive

Nel “sommarione” e nelle mappe del 1722 le di baite di Casalero, Cortechiuso e Cascine d’Alessi non esistono, difficilmente sono sfuggite ai meticolosi agenti del censimento della Cesarea Real Gionta;  è molto più probabile che ai tempi  ci fosse solamente il pascolo, al massimo qualche ricovero naturale per il pastore  e che le baite siano state costruite dopo il 1722.

Grazie per la lettura! Arrivederci alla prossima!!

Cronache della Parrocchia di Luzzogno tra il XV e il XX secolo

Il titolo di questa rubrica “Cronache della Parrocchia di Luzzogno tra il XV e il XX secolo”  trae spunto dalle ricerche portate avanti a suo tempo da Giuseppe Femia, che ringraziamo per la gentile concessione dei testi, i quali mano a mano verranno rielaborati e pubblicati su questo sito. Giuseppe durante le sue ricerche nel vasto archivio parrocchiale di Luzzogno ha individuato diverse storie ed aneddoti della vita di quel tempo. Lo scopo di questa rubrica è quello di riportare alla luce queste “vecchie storie” suscitando interesse nel lettore, si tratta di notizie perlopiù inedite, sconosciute a granparte dei Luzzognesi e che sicuramente testimoniano il fervore della vita sociale che già c’era in quei tempi nella nostra comunità.

Parte della storia locale ci è stata tramandata da autorevoli storici delle varie epoche, dal Vescovo Bascapè al Rusconi, Bazzetta, Caccini ecc, e per quanto riguarda la storia della Valle Strona un notevole contributo ci viene dal libro “Lo Strona” edito dalla Fondazione Monti. Ma volendo approfondire la storia di ogni singolo paese della valle il contributo maggiore è arrivato dalle ricerche personali di alcuni sacerdoti, o parroci della Valle, a cominciare da Don Giulio Zolla di Forno, Don Felice Cane di Chesio, Don Felice Piana di Fornero, e Don Celso De Giuli di origini Luzzognesi: a questi ultimi due và il merito di aver raccolto e trasmesso moltissime notizie su Luzzogno. Il Felice Piana fù parroco di Luzzogno per otto anni dal 1823 al 1831, e dunque ebbe modo di conoscere, vedere, e raccontare con linguaggio colorito nel suo “Memorie della Valle di Strona”  – vicende e aneddoti che lui stesso vide e raccolse, cose che altrimenti sarebbero andate perdute. Don Felice Giulio Cane di Chesio, nel suo libro “Storia di Chesio”  illustra ampiamente la storia di  Chesio, dei Cane e Gianoli,  pionieri delle miniere di ferro della Frera e della fonderia di ferro sita ai Mondè.

Don Celso De Giuli  di illustre famiglia Luzzognese  ma  originaria di Inuggio,  nel suo libro di storia locale “La Valstrona e Luzzogno” stampato nel 1959. Ci tramanda numerose notizie di storia Luzzognese con particolare riguardo alla Parrocchia, agli Oratori, ai legati, ai lasciti, alle opere, agli usi costumi di un tempo.  Vi sono ancora però molti episodi sconosciuti e particolari inediti che riguardano questa antichissima comunità, che i documenti scritti fanno risalire a dodici famiglie di massari provenienti da Crusinallo  – cum iam longissimo tempore non esset in predicta valle nisi locus unus seu villa nucupatus Lizognus focularium duodecim massariorum de Crusinallo –  (Archivio Storico del Comune di Luzzogno) busta 1 A – pergamena in latino.

Numerosissimi documenti giacciono negli archivi comunali e parrocchiali, con interessanti vicende storiche legate alla vita comunitaria di Luzzogno.Altri capitoli riguardano le attività e lo sfruttamento delle povere risorse locali, quali la pastorizia, il taglio dei boschi, la cava di marmo, le miniere di ferro e calcopirite, le strade, i molini, il nuovo cimitero, l’illuminazione pubblica, la scuola,  i regolamenti del Camparo, del Sagrestano,  le prime “leggi” del 1464 che riguardano i boschi tensati  poi gli ordini statutari del 1592,  gli alpeggi con le loro storie e le loro liti secolari per lo sfruttamento dei pascoli, i bandi campestri del 1853, e molto altro  fino al primo ed inedito inventario della Chiesa Parrocchiale compilato da Don Antonio Bracario nel 1617,  la processione dei disciplinati all’isola di S.Giulio ad Orta. Infine la nota degli uomini e dei fuochi della terra di Luzzogno dell’anno 1689 ci fornisce informazioni più dettagliate circa i presenti e gli assenti, i cognomi, la composizione ed il numero delle famiglie Luzzognesi del sec XVII.

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Luzzogno

E’ un soleggiato paese della Valstrona, disposto su un pianoro spazioso a 710 mt. d’altitudine, tra prati e boschi scoscesi. Il nome potrebbe derivare da Lux-Omnium ad indicare il ruolo primario ”luce di tutta la Valle” oppure discendere da Lucus-usium, “foreste degli Usii” (antichi abitanti di queste zone) o, anche, da Lucus-omnium “Bosco di tutti”, per la grande estensione del suo patrimonio silvestre.

Le prime popolazioni che si spinsero in questo territorio provenivano probabilmente dalle limitrofe valli Sesia e Anzasca. Nel secolo IX i signori di Crusinallo inviarono sul posto alcune famiglie per guidare gli armenti alla pastura: i pascoli erano abbastanza agevoli e protetti, l’acqua scorreva in abbondanza. Le prime abitazioni dovettero sorgere proprio vicino al torrente.

            Rispetto ad altre zone della Valle, molto più impervie, l’altopiano di Luzzogno, ben esposto al sole e riparato dai venti, si presentava particolarmente adattabile, se pur con duro lavoro, alle colture: patate, fagioli, segale e canapa (quest’ultima preziosa per ricavarne il tessuto, come testimonaio alcun resti di pozzi da macerare).Discretamente generoso di castagne e noci (con le quali si produceva farina e olio per l’illuminazione), di foraggio per mandrie e greggi, il paese vide ben presto aumentare il numero degli abitanti.Luzzogno fu la prima Parrocchia della Valle, staccatasi da Omegna nel 1455; fu anche il più antico comune (1756).

            Utilizzando il legno locale (faggio, frassino, rovere, larice) gli uomini divennero abili intagliatori e falegnami, tradizione che continua ai tempi odierni, e che ha vissuto un periodo di grande espansione allorchè, utilizzando la forza dell’acqua dello Strona, si crearono numerosissimi laboratori artigianali per la costruzione di svariati oggetti: dai giocattoli ai mestoli, dai macinapepe alle cornici. Accanto alla radizionale lavorazione del legno esiste, da tempi antici, anche l’arte dei peltrai e dei concari, esperti nel trattare i metalli e nel realizzare articoli casalinghi di vario genere. I prodotti di questi artigiani erano un tempo smerciati, insieme ai prodotti agricoli, sui mercati di Omegna, Orta, Gozzano, Pallanza e Domodossola, trasportati dalle donne dentro le gerle.

            Durante il 1800, periodi di forte carestia costrinsero gli uomini ad emigrare: se prima, infatti, lattonieri e falegnami gia si spingevano nelle pianure piemontesi e lombarde a prestare la loro opera manuale, nel periodo menzionato si recavano in Germania e America per anni interi.

            In località Pianaccia, esisteva anche una cava di marmo “di grana molto fine e trasparente” (Don Felice Piana) che fu chiusa nel 1884 per difficoltà di trasporto. Stessa fine per le miniere di calcopirite all’Alpe Colle, sopra l’abitato, abbandonate dopo la Prima Guerra Mondiale. Esistevano anche miniere di ferro e oro intorno a Massiola.

Luzzogno oggi

            Benchè il fenomeno dello spopolamento montano abbia raggiunto anche la Valstrona, si può constatare che i luzzognesi siano ancora molto legati al loro territorio. Ciò è testimoniato dal discreto sviluppo edilizio degli ultimi tempi e dalla tendenza dei giovani che intendono formarsi una famiglia a stabilirvisi definitivamente. Attualmente il paese, con 400 abitanti, dispone di un asilo infantile, delle scuole elementari e della biblioteca; inoltre è aperto al pubblico un negozio di alimentari e uno di parrucchiera.

            Enti e gruppi sociali sono: il Circolo Operaio, la Pro Loco, il Gruppo di Volontari per il pronto soccorso, il Gruppo Alpini, il Comitato Festeggiamenti Madonna della Colletta. Per quanto riguarda le attività lavorative si può ricordare che a Luzzogno sono esercitati molti mestieri. Infatti vi sono: muratori, fabbri, idraulici, lattonieri, meccanici, piastrellisti, elettricisti, falegnami, molti dei quali svolgono attività in proprio. Non mancano affermati cuochi e pasticceri, negozianti di commestibili, parruchiere ed estetiste, chi svolge professione d’insegnante, geometra, ragioniere e chi si occupa d’attività artistiche. Funzionano inoltre alcune piccole fabbriche a conduzione familiare, dedite alla lavorazione del rame, di minuterie metalliche.Un altro buon numero di persone porta la propria capacità produttiva nelle città di Omegna e zone circostanti, qualche giovane, ma questi sono la minoranza, si ferma nelle fabbriche di “fondo valle”.

            Per quanto riguarda l’agricoltura e l’allevamento del bestiame (un tempo molto praticate), è senz’altro da rilevare che Luzzogno è ancora uno dei pochi paesi della Valle a mantenere un discreto numero di “coltivatori diretti”. Questi si dedicano all’allevamento di capre e pecore (la Pro Loco ha organizzato per un trentennio un’importante Rassegna Ovi-Caprina riconosciuta a livello regionale) e di bovini, con i quali in estate sono raggiunti gli ultimi alpeggi ancora in uso.