Nota degli uomini e dei fuochi del 1689
La “lista degli Uomini e dei Fuochi” del 1689 descrive in modo approssimativo la popolazione di Luzzogno con i suoi cantoni di Strona e Inuggio e non ci informa sui mestieri e sui luoghi di lavoro, d’altronde è solo un censimento degli uomini presenti in patria, e degli abili, o non abili alle armi. Ma ci fornisce alcune preziose informazioni relative alla situazione demografica, anagrafica e onomastica della comunità di Luzzogno alla fine del 1600. A cominciare da alcuni cognomi oggi scomparsi, che sembrano estranei alla onomastica locale ma che invece appartengono alla protostoria di Luzzogno ed erano già presenti nelle carte antiche e negli atti costitutivi della comunità. Esaminando la lista, vediamo che le vedove portano il doppio cognome, e cioè l’associazione del cognome da nubile, a quello del marito – vedi Maria Bruna- Rinaldo, Maria Ronchino-Negro,Negra-Boretta, Piana-Negra, Mercanta-Boretta, Murella-Mercanta, Murella-Battaglina, ecc. In altri casi, ai cognomi venivano associati dei soprannomi come elemento distintivo di una diversa origine di provenienza o di un ceppo diverso, vedi per es. i Mercanti – Scrinzi, o gli Alessi – Anghini, i Rinaldi – Rumeletti, ecc. Anche nel caso di alcune famiglie veniva usato il doppio cognome, come Boretti – Mercanti, Boretti – Mosetti, Boretti – Todesco, Stornone – Bruna, ma non saprei dire quale sia il motivo esatto, anche se si potrebbe sospettare che alcuni cognomi siano stati coniugati tra loro per qualche legame di parentela. Questo documento però evidenzia il dramma di un paese che per alcuni mesi dell’anno era semi deserto, e “quasi tutti gli uomini sono assenti, e molti dei presenti, presto partiranno” Questa triste realtà colpisce non solo il paese, ma tutta la valle, con una disgregazione sociale gravissima con mariti, padri, e figli, disseminati in mezza europa.
La desolante situazione di emigrazione persisterà ancora per molto, e come vedremo anche nel documento di Consegna del Personale e delle Arti redatto nel 1776, e cioè 90 anni dopo, il fenomeno è ancora maledettamente attuale. Le cause che hanno costretto gli uomini a lasciare la loro terra “per poter acquistarsi da mantenere le loro famiglie” sono efficacemente riassunte nella supplica che i Luzzognesi nel 1794 fanno al Re, chiedendo di essere esonerati dal contributo delle spese di guerra.
Collegamento alla lista completa del 1689
Supplica a sua maestà del 1794
Nel 1794 con Regio Editto viene chiesto alle comunità della Valle il pagamento di un contributo per spese di guerra. La comunità di Luzzogno, radunato nella solita sala delle congrege il consiglio comunale il sindaco Giuseppe Stornone, delibera di inoltrare il seguente atto di supplica sua Maestà. Visto il ricorso di non pochi particolari, li quali ebbero ricorso a questa comunità di essere provveduti nelle presenti loro indigenze e calamità. Al chè inteso dai sig. congregati, sendo molte le istanze che da particolari di questa comunità vengono fatte, di dovere la presente amministrazione fare ancora ricorso a sua Maestà, e narargli la miseria in cui si trovano li medesimi di inabilità loro al pagamento d’un tale sussidio, per ottenere l’opportuna esenzione d’un tale peso; perciò inseguendo le istanze promosse che le vengono fatte; stimano di lor dovere, la presente di porre sott’occhio della benigna clemenza di sua Maestà, che la presente comunità essendo che la situazione in una Valle orrida, che ha il suolo talmente infruttifero, che produce tra castagne e segale da vivere non più di tre mesi circa; che a causa dell’attuale guerra e carestia, rimanendo incagliati li loro lavori, ne potendo dalla rispettiva arte ritrarre danaro, onde sovvenire all’indigenza loro, e della famiglia, e d’altronde anche li migliori registranti, non ritrovano voglia di sovenirgli danaro, anche colla vendita de loro beni, per accomprasi il vitto necessario, sono forzati a vivere di semplici erbe, con crusca di segale o di fromento; ed insomma che sono ridotti ad una miseria tale che li stessi più facoltosi non avendo mezzo di più oltre sovvenire alli indigenti, non sonno a meno che di lasciarli perire dalla fame e dall’inedia.
La miseria e povertà di questa Valle, sino alle annate più obbertate, in seguito alla ricognizione fattane dal Regio Delegato, il Conte Dautheville ha commosso talmente la pietà della Regia Maestà vostra, che si è degnata diminuirle l’ordinario tributo. Con tutta fiducia pertanto implorano e sperano non solo nell’esenzione del sussidio dal surriferito Regio Editto portato, ma hanno tutto il fondamento a credere che la Reale Maestà sarà per gettare uno sguardo pietoso sopra questa misera valle, e continuarle li tratti di clemenza e beneficenza.
Un’altra testimonianza sulle miserabili condizioni di vita di quei tempi ci viene da un viaggiatore che scrisse queste drammatiche parole (2) “Ho visto il pane che è costretta a mangiare la povera gente di val Strona e della val Sesia: quel pane! era un composto di crusca di melliga, di ghiande di quercia e di radici!!! Molte donne si sono trovate morte coll’erba in bocca!!! Questi due scritti la dicono lunga sule condizioni estreme di sopravvivenza.
Tornando al fenomeno dell’emigrazione, dai documenti sappiamo che nonostante le difficoltà alcuni immigrati con enormi sacrifici, ed un po’ di fortuna, riuscirono ad aprire bottega o laboratorio inserendosi nei commerci e facendo anche una discreta fortuna. Uno di questi fù il Giovanni Battista Boretto detto “Bontempo” coniugato con Perina Maria Caterina – morto a Torino nel 1750. benefattore e fondatore dell’Opera Pia omonima, il Boretto nella prima metà del 700 esercitava la professione di tornitore a Torino, dove aveva casa e bottega, e dove produceva e commercializzava raffinati articoli in legno come; tabacchiere in legni pregiati e in latta, pipe di ogni tipo e di legnami pregiati, cannette per pipe, bocchini, calamai di noce, di radica, d’avorio, e di legni esotici d’India come risulta dalla lista – inventario dei beni contenuti nel laboratorio (3) Il Boretto con il suo testamento lasciò la considerevole cifra di £ 8000 di Milano a favore dei poveri di Luzzogno, ed un Legato del Sale.
Le categorie dei nostri emigranti sostanzialmente erano due; una era quella dei peltrai o stagninari che emigravano all’estero, l’altra era quella dei tornitori e calzolari, e dei concari o palai, che esercitavano il loro mestiere esclusivamente nelle pianure piemontesi o lombarde. Quest’ultima categoria dei calzolari, tornitori, concari o palai va ulteriormente suddivisa, perché è vero che praticavano mestieri completamente diversi, ma anche con modalità operative diverse. Da una parte abbiamo i tornitori e calzolari con un’occupazione stabile e continuativa nei laboratori o nelle botteghe di citta come Vercelli, Vigevano, Torino, Ivrea, questo consentì ad alcuni di loro di aprire bottega o laboratorio e di mettersi in proprio; dall’altra vi erano gli “stagionali”, cioè i palai o concari che scendevano nelle pianure solo per qualche mese all’anno, (autunno – primavera) per poi tornare in estate ai loro paesi, e questa loro condizione di nomadi e di pendolari non gli permetteva di aprire botteghe o laboratori. Mentre i primi usarono i loro guadagni per aprire botteghe o laboratori, i secondi, li investirono acquistando appezzamenti agricoli, che successivamente affidavano all’agricoltore locale, da cui ad ogni fine stagione riscuotevano l’annuo fitto consistente in prodotti della terra, come granaglie, meliga, frumento, cereali, ed altri prodotti, da portare alle loro famiglie, e questo spiega perché alcuni valstronesi sono proprietari di appezzamenti di terreno giù alla “bassa” a Ricetto, Landiona, ecc.
Il Giovanni Battista Boretto “Bontempo” non era il solo ad essersi sistemato a Torino con la sua famiglia, in questa città risiedevano altri Luzzognesi con le rispettive famiglie, dove esercitavano la professione di tornitore. D’altronde il negozio stesso ed il laboratorio del Boretto furono rilevati (rogito Notaio Romerio) da un altro Luzzognese il Gio.Andrea Stornone zio del testatore che con i suoi due figli intendeva in questo modo continuare l’attività del Boretto, e gli stessi testimoni dell’atto di vendita erano anch’essi di Luzzogno. L’esistenza di questa numerosa colonia di Luzzognesi è testimoniata anche dalla lastra posta sopra la porta principale all’interno della Chiesa Parrocchiale S.Giacomo di Luzzogno, che ricorda i benefattori della bussola di Torino (che comprendeva anche quelli di Ivrea) che vollero istituire le sacre 40 ore. Altri immigrati avevano trovarono dimore e lavoro stabile in altre città o borghi piemontesi, come i Morello a Mazzè, i Demercanti a Vercelli dove avevano due negozi da calzolari, ad Alessandria i Boretti Mosetti erano negozianti, a Torino abbiamo qualche calzolaro ma parecchi tornitori delle famiglie Alessi, Boretti, Piana e Stornone, nel Lodigiano abbiamo alcuni De Giuli, ma anche a Vigevano si era costituita una colonia di calzolari che nel 1763 decise di chiamare in causa il comune di Luzzogno per alcune tasse che ritenevano ingiuste.
1763 Lite tra il comune di Luzzogno ed alcuni particolari residenti a Vigevano
Alcuni di questi particolari residenti a Vigevano con la propria famiglia, ritenevano ingiusto pagare le taglie focolari e personali alla comunità di Luzzogno perché appunto residenti in altro luogo. Pensarono allora di fare nel 1763 un esposto all’Ufficio d’Intendenza e nominarono Pietro Antonio Battaglino, Giuseppe Antonio Albertino e Bartolomeo Righettino come procuratori nella controversia con il comune. Vi furono per questa causa alcuni contradditori nei quali vennero sentite le due parti nelle persone dei sindaci della comunità Gio.Battista Beltrami e Rinaldi Pietro, contro i rappresentanti dei particolari di Vigevano sopra nominati, e dal memoriale di un contradditorio di ben 60 pagine (4) tenutosi avanti all’Avvocato Vice Intendente per l’Alto Novarese. In questo memoriale vengono citate alcune convenzioni contenute in antichi documenti del 1454 – 1617 e 1643, che riguardavano la costituzione del salario del Parroco e delle tasse focolari e personali, dai quali documenti veniamo a sapere per es. che un quarto delle decime feudali sui fondi coltivi di tutta la Valle Strona spettanti ai Sig.Nobili di Crusinallo, furono da essi rimessi in favore della costituenda nuova Parrocchia S.Giacomo di Luzzogno. In pratica il quarto delle decime rimesse dal feudatario a favore del salario del Parroco doveva essere corrisposto a tale scopo dai possessori di fondi coltivi. Anche il Senato di Milano nel 1643 concesse di convertire gli utili loro spettanti derivanti dall’utilizzo dei molini comunitari in favore del salario del Parroco. Dall’inventario Parrocchiale del 1617 risulta inoltre che il salario del 1454 che era di £ 60, nell’arco degli anni era asceso a £ 400 da suddividere tra i focolanti. I motivi per cui detti particolari non volevano pagare le cosiddette taglie focolari e personali erano che: Primo, l’impegno preso dagli antenati nel documento del 1454 riguardante il contributo focolare per il salario del Parroco non poteva estendersi a loro. Secondo motivo era che non essendo residenti non usufruivano di nessun bene comunale come l’utilizzazione dei boschi, dei pascoli comunitari e neppure del legato del sale, che i residenti invece godevano, e quindi ritenevano ingiuste queste imposte. Quello che preoccupava i sindaci era che se questa protesta fiscale sarebbe passata si sarebbe estesa a tutti coloro che risiedevano con la loro famiglia fuori patria e questo sarebbe stato il tracollo delle già misere finanze. Considerato che con queste entrate bisognava provvedere alle riparazioni e manutenzioni di strade, ponti, molini comunitari, e (cito testualmente) “specialmente per riparare dalla solita minaccia che in tempi stravaganti di pioggie nel sito detto il Ro, sono causa di ruina delle case di detta terra di Luzzogno, e di conseguenza anche quelle di detti assenti” ed in più le entrate, servivano anche per i bisogni temporali e spirituali. Se ciò venisse accettato dalla autorità superiori ne succederebbe che li poveri residenti come i vecchi, i bambini, le povere donne che sono “residenti forzati” proprio perché non sono in grado di portarsi fuori patria si troverebbero a pagare il doppio, e cioè anche la parte dei non residenti.
Le emigrazioni crearono nei soggetti sentimenti contrastanti di odio o di amore verso la terra natia. Alcuni si affezionarono alla nuova terra che li ospitava che era bensì “matrigna” ma comunque dava loro un tozzo di pane. Nel frattempo però svilupparono una forma di risentimento verso quella terra che li aveva “sedotti e abbandonati” ma li costrinse a cercar da vivere altrove obbligandoli però a pagare le tasse locali. La rabbia li spinse alla protesta e questo successe non solo a Luzzogno ma anche in altri comuni della valle.
Altri soggetti invece vollero dimostrare in qualche modo di essere riusciti con il loro lavoro e con la loro capacità ad affermarsi nelle città e nella società, con le munifiche donazioni e beneficenze intesero guadagnarsi la stima dei concittadini e magari un posto in paradiso.
Grazie per la lettura! Arrivederci alla prossima!!