L’opera pia dei poveri
In questa uscita della rubrica scriviamo di un particolare aneddoto della nostra parrocchia che fa riflettere su quanto la comunità del tempo era sviluppata e articolata per poter gestire in autonomia questo tipo di evenienze.
Nella seconda metà del 700 alcuni benefattori di Luzzogno lasciarono in beneficenza sotto diverse forme le loro sostanze. Uno di questi fu il Gio.Batta Boretto detto “Bontempo” di cui abbiamo già parlato, che lasciò una somma ingente, il cui reddito venne destinato in parte all’istruzione scolastica dei giovani del paese, in parte per la distribuzione di mezzo kg di sale al mese per ogni famiglia, e con l’obbligo però, di nominare un cappellano e di celebrare alcune messe durante l’anno. Altri lasciarono somme di denaro da destinarsi ai poveri del paese, altri ancora per la condotta medica. Ma un personaggio che si distinse per carità e beneficenza nel 700, ai tempi di Don Carlo Antonio Maffioli (che fu lui stesso benefattore e lasciò metà delle sue sostanze ai poveri di Luzzogno) fu il Notaio Carlo Antonio Morello, fu Gio.Battista. Il Notaio Morello muore a Luzzogno il 6 gennaio 1712 all’età di 85 anni. Nel suo testamento non vi sono legati di messe o del sale, e non avendo figli lascia tutti i suoi beni ai parenti secondo una linea ereditaria che escludeva le femmine. Una parte dei Morello però da tempo si era stabilita a Mazzè (un borgo contadino della pianura piemontese) e a Luzzogno rimanevano solo il fratello Antonio e una nipote. Le disposizioni testamentarie nominavano primo erede universale suo cugino Giuseppe abitante in Mazzè, in caso di rifiuto nominava l’altro cugino Giovanni anch’esso abitante a Mazzè, oppure Antonio suo fratello, infine se anche questo ricusasse, l’altro cugino ancora il Gio.Battista, e così via, secondo la linea di successione che toccava i maschi primogeniti dei parenti del Notaio, con l’obbligo però agli eredi, di risiedere nella casa di Luzzogno “ed ivi mantenere il foco” in caso di rifiuto o di inadempienza degli obblighi, l’eredità verrà destinata esclusivamente ai poveri di Luzzogno e sarà gestita dalla Compagnia di S.Marta. Non sappiamo esattamente come andarono le cose, se gli eredi rinunciarono all’eredità per non trasferirsi a Luzzogno, oppure se la primogenitura si estinse, ma dal “ Libro delle cavate e delle spese dell’eredità del Sig. Notaio e Causidico Carlo Antonio Morello” compilato dai consiglieri della Compagnia di S.Marta sappiamo con certezza che a partire dal 1734 tutti i beni e ragioni, come da disposizioni lasciate passarono alla Compagnia di S. Marta, che si assunse l’incarico di vendere, come da testamento “in momenti opportuni ” li beni stabili, eccettuate però le case di abitazione che saranno destinate ad uso dei poveri. Naturalmente la Compagnia doveva dare il resoconto annuo delle “cavate e delle spese”. Le precise disposizioni dettate nel testamento dal notaio stesso (uomo pratico di queste cose) il giorno prima della sua morte, destinavano l’annuo interesse ricavato dai capitali ai poveri della cura di Luzzogno a partire dagli infermi e ammalati, e particolarmente da quelli che in qualche maniera sono parenti del testatore, con la clausola di nominare di volta in volta due confratelli che tengano la contabilità ed il registro delle elemosine, che saranno distribuite secondo rigorosi criteri stabiliti dai Consiglieri della Compagnia e dal Parroco del tempo. Nella lista dei beni sono descritte le case del Morello, consistenti in “Una casa da fuoco nel cantone del Cantonetto, con una corte grande ed alcune stanze, et una stanza al piano superiore nella quale vi è un quadro largo et alto circa un brazzo, in cui è raffigurato il Notaio Carlo Antonio Morello, insieme con il fratello Rev. Padre Nicola Morello (1) religioso Agostiniano. Dall’altra parte della corte vi è un altro corpo di casa. Attigua a questa casa, vi è un’altra casa che si chiama la Chiesa, et anticamente era dimandata la Chiesa di Frà Marco; la quale per ordine del Vescovo Carlo Bescapè fu esecrata et assegnata alla Chiesa Parrocchiale di S. Giacomo, con certi pochi redditi che aveva, come consta dai decreti di visita”. Non sappiamo il valore complessivo dell’eredità lasciata, ma da quanto risulta dal registro delle elemosine tenuto dai confratelli della Compagnia di S.Marta, vi erano numerosi appezzamenti di terreno, cascine, campi, prati e boschi, che furono venduti e il capitale ricavato rendeva circa 100 lire all’anno che in parte venivano distribuiti ai poveri. Il patrimonio fu amministrato molto saggiamente, perché come testimonia il libro, la distribuzione delle elemosine continuò ininterrottamente dal 1734 sino alla prima metà dell’800, con aiuto in denaro distribuito annualmente, più le numerose manutenzioni e riparazioni nelle case d’abitazione dei poveri e le uscite straordinarie. Nelle fitte pagine di questo libro vi sono tantissime voci di spese extra dove si legge ad esempio; dato alla povera S. Antonia £1,10 per comperare una pezza di tela per vestire il proprio figlio – dato £ 5 al B. Giacomo per comperare un paio di scarpe per suo figlio, pagata la visita medica del Dott. Francia alla B. Margerita, fatto fare per ordine del Curato un vestito per un figliolo ed una berretta per un altro bambino, pagato alla sarta il tessuto per fare i vestiti per i bambini poveri ecc. ecc. e via di seguito per moltissime pagine. Certo queste elemosine non risolsero i gravi problemi di quella povera gente; ma pensiamo ad esempio all’aiuto dato a quei bimbi che oltre alla fame dovevano sopportare anche il freddo, o agli infermi, o alle povere vedove con figli piccoli senza alcun sostentamento, questi pur piccoli aiuti sono certamente serviti a superare i momenti più difficili. Nel 700 i poveri si aggirano sulle 40 unità, nella prima metà dell’800 si sono dimezzati, e forse questi erano i primi segnali di una debole ripresa economica. Particolare curioso che spicca nella lista, è l’ampia distribuzione di curiosi soprannomi e nomignoli, di cui se ne riportano alcuni esempi: la S. Teresa e detta la “Marandola” – la A. Antonia e detta la “Pianarola di Inuggio” – la B. Antonia e detta “la Marchetta” – il B. Giovanni “il Put” – il N. Carlo e detto “il Panela” – la R. Maria “la Paliva” – il B. Giacomo è detto “il Nicolino” – la B. Maria è detta “la Prevosta” – la D. Maddalena e detta “la Gabbia” e via di questo passo. Evidentemente in quei tempi miserabili mancava tutto fuorché uno spiccato senso dell’ironia.
(1) Secondo Il De Giuli nel suo libro – La Valstrona e Luzzogno – Padre Morello si chiamava Michele Angelo, ma è probabile che questo fosse il nome “da religioso” perché nel testamento il suo nome è padre Nicola Morello.