Portico della Comunità

Benvenuti alla scoperta del Portico della Chiesa: Un Viaggio nel Tempo e nella Comunità

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Il Portico della Chiesa che si ammira oggi non è un semplice passaggio, ma un vero e proprio cuore pulsante della storia e della vita comunitaria di questo paese.

La sua costruzione risale al lontano 1692, frutto di un’idea dell’allora parroco, Don Emiliano Negri. Egli volle creare uno spazio che fosse allo stesso tempo esteticamente pregevole ed estremamente pratico. È interessante sapere che nell’archivio parrocchiale si conserva ancora il diseg

no originale, con una nota che specifica come il portico dovesse eguagliare in ampiezza quello, già rinomato, di Santa Marta. La realizzazione fu un’opera corale: il contratto di costruzione porta la firma del Parroco, di un certo Agostino Minotta Marelli, del sindaco della Comunità, Antonio Ronchino, e del sindaco della Chiesa parrocchiale, Giovanni Stornone.

Lo spazio del portico si presenta discretamente grande e comodo. Il tetto, con la sua robusta travatura in legno, è sorretto, oltre che dai pilastri d’angolo, da due magnifiche colonne di granito che culminano in un elegante arco sopra l’ingresso centrale. Il pavimento attuale in cemento sostituisce gli originari lastroni di pietra, che un tempo furono testimoni di innumerevoli storie. La vera anima di questo portico si svelava soprattutto nei giorni festivi. Si può immaginare questo luogo, prima delle funzioni religiose, animato da un vivace viavai di uomini. Essi arrivavano presto, anche dalle frazioni più lontane, e approfittavano di questo momento per ritrovarsi, scambiare idee e discutere dei loro interessi. Il portico diventava così una sorta di “consiglio parrocchiale” informale, rafforzando il senso di unità della comunità. Le cronache del tempo descrivono come fosse suggestivo osservare quel folto gruppo di uomini conversare pacificamente prima di entrare in chiesa.

In quei tempi, questo era uno spazio prettamente maschile; per ragazzi e donne c’era poco spazio, e queste ultime si recavano direttamente in chiesa, quasi timorose di trattenersi con gli uomini. Il periodo di maggior fermento sotto il portico era l’autunno, con il ritorno degli emigranti dall’estero. Spesso persone che avevano avuto successo, portavano con sé storie e novità da condividere con i compaesani. Era un momento di grande soddisfazione per gli abitanti ritrovarsi, aggiornarsi sugli avvenimenti locali e mondiali, il tutto – si narra – evitando accese discussioni politiche.

Un suono particolare interrompeva poi le conversazioni: il ‘rabain’, la campana che annunciava l’imminente inizio della Messa. A quel segnale, il portico si svuotava rapidamente e gli uomini si affrettavano a prendere posto in chiesa, alcuni nei banchi, altri nel coro per cantare.

Erano tempi di profonda fede, unione e pace. Nonostante le minori comodità rispetto ad oggi, l’unica Messa domenicale era frequentata da tutta la comunità. Quei momenti sono ricordati con nostalgia come funzioni solenni, raccolte e animate da voci e canti. Attualmente, il portico può apparire più silenzioso, custode di memorie passate, ma porta con sé la speranza che lo spirito comunitario di un tempo possa rivivere.

Un’ulteriore, curiosa funzione storica del portico era quella di tribuna del ‘campèr’, la guardia campestre, figura di rilievo nella vita rurale. Da un muretto laterale, il campèr comunicava al popolo, in dialetto, ordini e avvisi relativi al suo ufficio. Ad esempio, all’inizio di ottobre, con la caduta delle castagne, avvertiva di tenere le capre lontane dai castagneti per evitare che gli animali fossero catturati e i proprietari multati.

Il portico della chiesa è dunque molto più di una semplice struttura architettonica: è una vera e propria finestra sul passato, testimone silenzioso di secoli di vita comunitaria, fede e tradizioni locali.